Molte persone che commentano sul linguaggio di genere (ma non solo) spesso nominano il famosissimo politicamente corretto. E' una parola così utilizzata che o ha perso il suo significato reale o ne ha acquisiti talmente tanti che è difficile recuperarne le origini.
Questo post non vuole colpevolizzare chi usa la lingua o chi la commenta (io stessa in classe dico che siamo prima parlant* e poi linguist*). Tuttavia, ha lo scopo di chiarire alcuni punti fondamentali sul politicamente corretto. Salto la storia del termine, perchè se la considerassi partirei da un presupposto diverso, e vado direttamente alla percezione e ai commenti che indirizzano l'argomento su questo aspetto.
Avrete notato che io stessa utilizzo un linguaggio di genere inclusivo, uso l'asterisco (ma in futuro o nello stesso testo potrei utilizzare la schwa) e a volte uso un linguaggio neutrale; ma davvero neutrale, ovvero che sia impossibile pensarlo in una visione di genere grammaticale, invece di studenti e studentesse uso chi studia, invece di le parlanti e i parlanti uso chi parla. Esiste, quindi, un neutro, ma questo non è rappresentato dai maschili generici usati per le donne, che per alcun* sono neutri. Su questo punto, mi permetto anche di aggiungere che girano moltissime incorrettezze sulla grammatica di genere, per colpa di libri di testo incompleti ma non solo.
Io lo dico da sempre, il sessismo è in chi parla non nella lingua.
Dire che qualcosa è politicamente corretto, e usare questo termine in maniera negativa, è svuotare di significato l'interrelazione tra lingua e società. E' come dire "non serve", rimanendo ancorati a vecchi significati, e ancora peggio, a vecchie strutture. Forse le persone si attaccano all'idea di corretto, che è effettivamente, una parola problematica. La gente non vuol sentir dire che sbaglia, o che fino ad adesso ha parlato male, non vuole neanche che ci sia chi dall'alto imponga delle scelte, come deus ex machina. Non lo dico solo io, ne parla la professoressa di Oxford Deborah Cameron (nel suo Verbal Hygiene), lo diceva Alma Sabatini (che alla fine degli anni 80 scrisse dei libricini poi divenuti fondamentali per la ricerca nel linguaggio di genere) e la professoressa Maria Serena Sapegno (nel suo volume Che genere di lingua). E credo che chi parla di politicamente corretto, si riferisca più a questo che altro. Forse (vi) da' un po' fastidio anche l'idea di politicamente, perchè pensate significhi schierarsi da una parte o dall'altra in un mondo che tende agli estremi. Su questo dobbiamo basarci, sull'idea pericolosa, personalizzata e personalizzante di chi usa il politicamente corretto come rivincita del potere di sé stess*. L'immaginario sociolinguistico delle e dei parlanti non nasce in un vuoto, ma si sviluppa e si giustifica intorno alle pratiche quotidiane e alle resistenze (ove ce ne siano) alle e delle pratiche quotidiane. In altre parole, se si giustifica un sistema sociale e culturale che tende ad avere un disequilibrio di genere, anche la lingua verrà vista attraverso questa lente.
Chi ha una passione per la lingua, o la studia attraverso strumenti scientifici, tende ad avere una visione d'insieme. Il politicamente corretto è per noi, non una frase per posizionarci in un dibattito sui social, ma un fenomeno linguistico e sociale complesso. Quello che è chiamato politicamente corretto è per tanto un'opportunità per rivedere il mondo in cui viviamo attraverso la lingua, ed è la possibilità di esplorare nuovi contesti, nuove aspettative, nuove identità.
Nel mondo femminista si ripete spesso una frase il personale è il politico. A questo fa' riferimento l'idea di un linguaggio più inclusivo. Non ha niente a che fare con gli schieramenti di destra o di sinistra. Ma certo, ha a che fare con l'ideologia. Anche questa parola viene spesso usata in maniera negativa - pensiamo all'ideologia gender. Peccato perchè anche questa parola rappresenta lo spazio di pensiero e, nel mio contesto, è una parola che vuole scavare in questo spazio.
L'accanimento (uno degli aspetti più feroci dei social) contro il nuovo, rappresenta l'idea che quel che è vecchio è giusto e non vada cambiato, o criticato, o visto da una prospettiva diversa. E se non va cambiato allora significa che rimarrà il mondo maschilista, omofobo, transfobico e razzista, perchè di questo c'è evidenza, mentre che prima andasse tutto bene non ne abbiamo prove. Per cui, ragionare su un linguaggio che guardi positivamente al futuro, fa parte di un esercizio critico, quello di gestire la conoscenza del mondo in cui viviamo.
Usare un linguaggio non inclusivo e non neutro non è altro che affermare una cultura e una società che ha da sempre avuto a capo un gruppo (uomini) e alle pendici della piramide tutti gli altri. Invece, quello che spesso viene chiamato politicamente corretto è un modo per dire: non deve essere più così, non è giusto che sia così.
Se questo non si presenta chiaramente davanti a noi, è perchè siamo (stat*) recipient* di privilegio, senza rendercene conto.
La lingua è un dono, ma anche un'arma. Sta a noi decidere come usarla.
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