Sottotitolo: una breve riflessione sulle petizioni per la purezza della lingua
pubblicato nella sezione Genere, minoranze e lingua del CERM
(https://www.uninsubria.it/siti-tematici-o-federati/centri-di-ricerca/centro-di-ricerca-sulle-minoranze-cerm-centre-research)
Federica Formato
Da qualche giorno ormai gli intellettuali italiani fanno scalpore su giornali nazionali e anche internazionali (come il The Telegraph del Regno Unito). Scatenati, questi giornali soprattutto di destra, difendono professori universitari che si sono schierati contro il linguaggio inclusivo. Le riflessioni che seguono provano a spiegare cosa sta accadendo da un punto di vista interno, essendo studiosa di lingua e genere e avendo pubblicato sul tema (come da bibliografia in basso), ma anche da esterno, essendo un’accademica che lavora all’estero.
La petizione, e i vari “al lupo al lupo” contro i simboli inclusivi sono da collegarsi con posizioni estrem(ist)e sicuramente sulla presunta purezza della lingua, ma in maniera più profonda con lo stato sociale e culturale del nostro paese. Nonostante ci sia la bolla combattente che guarda avanti e mira a smantellare lo status quo, i reazionari creano roccaforti per non farsi attaccare. Cerco di spiegarmi meglio: studi accademici, ad esempio i miei che si basano su metodologie quantitative oltre che qualitative, dimostrano che il linguaggio sessista vive nei media e nelle percezioni della comunità di parlanti. Mentre scuole, associazioni sono in prima linea per riflettere su questi cambiamenti (come l’uso dei femminili e schwa/asterisco/u), intellettuali e professori italiani (il maschile non è generico) lavorano per fermare questo cambiamento. Trovo, infatti, che il lavoro di riflessione di questi intellettuali e professori non sia né profondo né giusto.
Basta guardare la storia! Lo sforzo femminile, e femminista per ottenere diritti contro le strade, vallate, montagne spianate degli uomini. È un dato storico, il voto alle donne che arriva più tardi, la disoccupazione che colpisce l’occupazione femminili nei dati attuali, i femminicidi. A questo si aggiunge la violenza e la discriminazione, in casi istituzionalizzata, contro la comunità LGBTQIA+ nel nostro paese (si pensi alle battaglie contro il DDL Zan). Le due violenze non sono parallele ma si intersecano all’interno di una cultura e società che per secoli ha conosciuto un solo modello, quello patriarcale. Questo modello si è instaurato nei modi di vivere e percepire la realtà di tutti i giorni e negli schemi cognitivi che ci aiutano (o forse no) a guardare cosa succede. Uscire al di fuori di questo modello è possibile ma richiede, a diversi livelli, un lavoro individuale e collettivo che risulta difficile soprattutto a chi da sempre ha man-tenuto lo stadio più alto. Non si vuole dire che l’esperienza di tutti gli uomini è stata facile, sarebbe una mancanza di arguta discussione intersezionale (dove la classe, l’orientamento sessuale e l’etnia trovano correlazioni importanti), tuttavia gli uomini cis-etero godono e beneficiano di un'aurea data per scontata di credibilità e autorevolezza, soprattutto nei posti di lavoro che ancora manca in maniera meno omogenea. Non è neanche un caso che gli attacchi personali a Gheno, che promuove schwa in molti canali mediatici, e Murgia che usa il linguaggio inclusivo si moltiplicano, e replicano le dinamiche violente e sessiste che si vedono contro le donne sui social media. Era successo a Laura Boldrini quando aveva chiesto che nella Camera dei Deputati fosse usato il femminile.
Da questo, nasce questa deriva, a tratti isterica, del privilegio. Deriva che scaturisce da una crisi profonda che mette gli uomini davanti ad un nuovo modello, nel quale non c'è posto solo per loro. Supportati anche da chi non appartiene a questa categoria (sociale non biologica in maniera determinista), gli uomini intellettuali che fanno notizia ogni giorno, gridano alla deriva nello stesso momento in cui stanno mettendo in atto la loro e quella del sistema patriarcale. Kiesling, uno studioso americano, usa un termine per raccontarci di come certi uomini (quelli della sua ricerca) mirino a creare a “homosociality by alliance” (omosocialità da alleanza). Questa difesa del privilegio, che immagino non sia una preoccupazione di questi intellettuali, è il centro di questi eventi. Non a caso, alcuni dei giornalisti che hanno presentato il dibattito si sono valsi della giustificazione politica, sulla convinzione che se la sinistra è contro il politicamente corretto allora lo scenario è che si stia chiedendo troppo, e che si stia andando troppo oltre.
Per concludere, serve un grande coraggio, spinto da una società che in toto abbia voglia di favorire i cambiamenti sociali e culturali che stanno già avvenendo, nonostante la violenza. Se iniziamo da questo, poi possiamo parlare di lingua da una prospettiva grammaticale e sociale.
Non si deve essere solo prontз, bisogna essere anche preparatз.
Bibliografia
Formato, F. (2016). Linguistic markers of sexism in the Italian media: a case study of ministra and ministro. Corpora, 11(3), 371-399.
Formato, F. (2019). Gender, discourse and ideology in Italian. Cham, Switzerland: Palgrave Macmillan.
Formato, F., & Tantucci, V. (2020). Uno: A corpus linguistic investigation of intersubjectivity and gender. Journal of Language and Discrimination, 4(1), 51-73.
Formato, F. (under contract with Cambridge University Press). Feminism, corpus-assisted research and language inclusivity. https://www.cambridge.org/core/what-we-publish/elements/language-gender-and-sexuality#
Kiesling, S. F. (2005). Homosocial desire in men's talk: Balancing and re-creating cultural discourses of masculinity. Language in Society, 34(5), 695-726.
Comments